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Vincenzo Rappazzo

E voi che cosa fate?

27 April 2015 • a cura di Vincenzo Rappazzo •

Bene UniversaleGiovanni: “Be’, noi… Lavoriamo nella meccanica di precisione: tecnologie avanzate al servizio di progettazioni particolari e specifiche. Non so… hardware e quelle cose, cioè creiamo dei supporti che poi serviranno per progettare grosse situazioni, non so mecc… Proprio… Strumenti di precisione per una svolta magari futura anche della meccanica… Eh? Non so se mi spiego?”
Aldo: “Sì, insomma… Abbiamo un negozio di ferramenta. Cioè, non è che il negozio di ferramenta è nostro, noi ci lavoriamo come commessi, come galoppini insomma.”
https://www.youtube.com/watch?v=rMf1QfFDo6k
(Tre uomini e una gamba)

A quanti di noi è capitato di trovarsi nella situazione imbarazzante di chiedere ad un interlocutore di che cosa si occupa e di non riuscire a comprendere precisamente che cosa faccia?
Nell’articolo precedente (La missione aziendale) abbiamo cominciato a considerare l’impresa come il catalizzatore di una comunità di persone che concorrono alla realizzazione di uno scopo.

Molte aziende dichiarano la loro “mission” confermando, così, il ruolo proprio, la propria dignità nel mondo coinvolgendo nel proprio progetto anzitutto i loro collaboratori – i dipendenti ma anche i fornitori – ed i fruitori, i beneficiari della loro attività: i clienti.
Ne elenchiamo alcune tra le tante che, presentandosi, si distinguono per la loro eleganza:

Lavoriamo per elevare la qualità della vita domestica, curandone sia gli aspetti estetici che quelli funzionali.(Scavolini)

Una cura per ogni malattia. Più salute, più felicità, più vita. (Menarini)

Nel nostro mondo di fiaba facciamo rivivere i valori dell’infanzia, i sogni, la magia ed il calore. (Thun)

In un articolo precedente (Il bisogno del marketing) avevamo appreso che Kotler fonda il marketing sullo scambio di prodotti e valore la cui origine è la soddisfazione di un bisogno: quando un uomo avverte una necessità per la quale trova un’adeguata soddisfazione si avvia il processo che determina l’acquisto.
Tuttavia anche chi offre un prodotto o un servizio risponde ad una propria esigenza poiché ogni uomo ha bisogno di costruire, di collaborare alla realizzazione di uno scopo.

Quando uscivi dalla porta sul retro di quella casa, da un lato trovavi un abbeveratoio di pietra in mezzo alle erbacce.
(…) Non so da quanto tempo stava lì. Cento anni. Duecento.
Sulla pietra si vedevano le tracce dello scalpello.
Era scavato nella pietra dura, lungo quasi due metri, largo suppergiù mezzo e profondo altrettanto.
(…) E mi misi a pensare all’uomo che l’aveva fabbricato.
Quel paese non aveva mai avuto periodi di pace particolarmente lunghi, a quanto ne sapevo io.
(…) Ma quell’uomo si era messo lì con una mazza e uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio di pietra che sarebbe potuto durare diecimila anni.
E perché? In cosa credeva quel tizio?
Di certo non credeva che non sarebbe mai cambiato nulla.
Uno potrebbe anche pensare questo.
Ma secondo me non poteva essere così ingenuo.
(…) E devo dire che l’unica cosa che mi viene da pensare è che quello aveva una sorta di promessa dentro al cuore.
E io non ho certo intenzione di mettermi a scavare un abbeveratoio di pietra.
Ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promessa.
È la cosa che mi piacerebbe più di tutte.
(Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi)

Il raggiungimento di uno scopo è la “promessa dentro al cuore” a cui obbedisce chiunque si appresti alla realizzazione di un progetto.
L’impresa che, per definizione, è un’attività economica organizzata – e si avvale, pertanto, del contributo diretto, dei dipendenti, o indiretto, dei fornitori –, può trasformare l’apporto che ognuno dei suoi collaboratori le conferisce, in un bene universale precisando lo scopo per cui essa esiste.

 

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