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Vincenzo Rappazzo

Missione da leader.

4 May 2015 • a cura di Vincenzo Rappazzo •

Scopo MetodoNell’articolo precedente (E voi che cosa fate?) abbiamo visto come l’impresa trasforma l’apporto, che ciascuno dei suoi collaboratori le conferisce mettendo in gioco i propri talenti, in un bene universale, precisando lo scopo per cui essa esiste nella proclamazione di una sua “mission” della cui esplicitazione abbiamo letto alcuni esempi.

Vi sono, invece, molte aziende – tante – che non parlano della loro “mission” o, piuttosto, elencano i principi a cui esse si ispirano, i valori a cui si riferiscono, i loro metodi di lavoro che sono tutti aspetti interessanti, ma non ne descrivono lo scopo.
Non citeremo queste ultime: chiunque può accedere ai siti istituzionali di qualsiasi impresa e dilettarsi.
Ci limiteremo a osservare il contenuto di alcune affermazioni:

“Essere leader…”

“… da sempre attenta alle esigenze dei consumatori ha nel tempo ampliato la gamma dei suoi prodotti, grazie ad un continuo processo di ricerca, sviluppo e innovazione.”

“Qualità elevatissima, cura artigianale, freschezza del prodotto, accurata selezione delle migliori materie prime…”

Non sappiamo se esistano aziende che dichiarino candidamente di realizzare prodotti mediocri utilizzando materie prime scadenti, ma non ci occuperemo adesso di questo argomento, bensì della differenza tra scopo e metodo.
La nostra esperienza quotidiana è costellata da mete che intendiamo raggiungere per ognuna delle quali studiamo il percorso più opportuno: ogni iniziativa ha uno scopo al quale è subordinato un metodo.

Nell’articolo “La missione aziendale” abbiamo già citato Peter F. Drucker:
“La mission racconta perché fai ciò che fai, non i mezzi che utilizzi per farlo”

“Non so niente della guerra, Randelli. È questa la verità. Ho imparato come si muovono le pedine, ma della guerra non so niente. Fate una vita da lupi, ma c’è qualcosa, non so ancora cosa, che mi piace. E insieme mi infastidisce. Non sopporto il disordine, la puzza, le uniformi malconce, i berretti storti, i passamontagna bucati, le doppie paia di guanti. Ma c’è qualcosa che fa funzionare tutta questa accozzaglia. E non siamo noi che da laggiù vi diciamo quel che c’è da fare a far stare insieme tutti i pezzi. Non so cosa sia, ma di certo non sono i comandi o i dispacci che diramiamo.”
(Marco Andreolli, Freddo dentro)

Il tenentino, che arriva per la prima volta sul fronte alpino della seconda guerra mondiale dopo mesi trascorsi nelle retrovie ad occuparsi della pur necessaria organizzazione delle operazioni tattiche, si accorge che “c’è qualcosa che fa funzionare” che viene prima de “i comandi o i dispacci” intuendo – anche se ancora in maniera non pienamente consapevole – che l’organizzazione, a cui si era dedicato devotamente fino al giorno precedente, è subordinata allo scopo e che quest’ultimo non viene suscitato da essa.

Il capo di stato maggiore Giuseppe Perrucchetti è considerato il “padre degli alpini” poiché nel 1872 caldeggiò l’istituzione di questa specialità dell’arma di fanteria sostenendo che la difesa delle Alpi dovesse essere affidata a montanari per avvalersi della loro familiarità con il clima ed il terreno ma, soprattutto, ipotizzando di organizzare truppe reclutate tra giovani provenienti da zone confinanti con i valichi da difendere, per creare compagnie di soldati omogenee per provenienza e fortemente determinate nella custodia delle proprie terre.

Per vincere una guerra ci vuole prima di tutto uno scopo condiviso da tutti coloro che vi partecipano, che non è la guerra stessa. Gli alpini che difendono le proprie valli nelle quali vivono le loro famiglie, i loro parenti, i loro amici ed i loro conoscenti hanno ben chiaro nella mente e nell’animo questo scopo, che li spinge al sacrificio, molto più del loro tenente preoccupato del loro coordinamento e della pianificazione delle loro attività.

“Essere leader” di un mercato può essere un obiettivo – ambizioso -, ma non il motivo per il quale si intraprende un’attività: semmai è l’esito positivo di tanti ingredienti opportunamente amalgamati.

Uno scopo condiviso con passione da tutti coloro che possono contribuire al suo raggiungimento provoca la ricerca dei metodi e l’organizzazione più appropriati per indirizzare nella maniera migliore gli impegni individuali e creare, così, le condizioni necessarie, ma non sufficienti, per conquistare un obiettivo.

 

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